Intervista a Gualtiero Ciola
L'Araldo di Thule #9 (anno 4, Ostara 2248 Er/1998 Ec)
Premessa
Abbiamo spesso parlato dell’opera di Gualtiero Cìola, non nascondendo mai di esserci, in gran parte, ispirati a questa sin dalla nascita della CO. Molti tra i nostri lettori ci hanno chiesto "qualcosa di più" su di lui. Noi siamo stati felici di proporre in questo n°9 la sua intervista, dal momento che i nostri rapporti si sono sempre sviluppati nel senso della più aperta lealtà e sincerità, e possiamo anche dire che non ha mai cercato di influenzare una nostra linea editoriale e "umana".
La prima volta che ci siamo visti ho notato la sua straordinaria somiglianza con il viennese Karl Maria Wiligut (almeno in una sua foto del’45) e devo dire che la permanenza di qualche giorno con lui mi ha dato una nuova carica che, mi auguro, sia stata trasmessa in queste pagine. P.G.
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AdT: Buongiorno Dr. Cìola, può parlarci un po’ di lei, del suo itinerario umano e culturale?
G.C.: Sono nato a Venezia nel 1925 da padre tirolese e da madre veneziana, con lontane ascendenze dalmatiche ed ho considerato patria sia il Tirolo che la città lagunare, ove ho compiuto i miei studi dal Ginnasio al Liceo classico; ho avuto la fortuna o la sfortuna di facilitarmi il conseguimento della maturità classica, come studente-soldato. Nel 1943 avevo preso residenza nella dimora paterna a Borgo (Trento), ove mi colse l’otto settembre e scelsi ciò che la maggioranza della popolazione preferiva: la fedeltà all’alleato e alla Mitteleuropa, della quale si avvertiva ancora il doloroso distacco.
E’ stato duro fare il guerriero e, quando era possibile, andare a lezione di greco e matematica con le armi spianate; ma c’era una buona ragione: tornando in una notte buia da una zona della vecchia Padova, sotto i portici medievali, fui scosso da uno sparo, ingigantito dalla volta delle arcate e sentii la pallottola fischiarmi sopra la testa; non mi rimase altra scelta di una fuga indecorosa, avendo solo la baionetta che, nella corsa, mi batteva i glutei, quasi a sculacciarmi per la mia imprudenza. Da quella volta ci venne ordinato di uscire in gruppi di quattro e con le armi "feuerbereit" (con la pallottola in canna).
Passai indenne i due anni di guerra: non mi fu permesso di fare l’eroe, ma solo ciò che mi veniva ordinato; l’avventura cominciò quando credevo che tutto fosse finito e fu anche molto rischiosa. Occupai i monti lasciati liberi dai partigiani e ne ridiscesi quando i vincitori si furono vendicati abbastanza, in tempo per visitare mia madre, incarcerata al posto mio, ma salvata dal suo senso dell’umorismo; dopo che le porte del carcere le furono aperte Lei, che prima non aveva amici, si ritrovava spesso in allegra compagnia con i "galeotti" che aveva conosciuto.
Scelsi la facoltà di Veterinaria perché amavo gli animali e per starmene a Bologna, ove apprezzai l’intelligenza degli emiliani; dopo la laurea ed un periodo di pratica, esercitai per alcuni anni la libera professione nel Sudtirolo e nel Veneto: feci in tempo a conoscere la civiltà contadina delle vallate tirolesi e della pianura veneta e da allora mi sono battuto in suo favore.
A 60 anni decisi di essere ancora abbastanza giovane per godermi la pensione, viaggiando, scrivendo, girovagando sulle montagne a piedi o sugli sci. Cambiai residenza e divenni friulano in un paesino originariamente tedesco: Weissenfels ( :bianca roccia) che gli italiani storpiarono in Fusine, perché c’era una fabbrica, quando avrebbero potuto tradurlo in "Roccalba", molto più poetico. Ora sono tornato nel Veneto per stare vicino alle mie nipotine veneziane e padovane.
Il mio itinerario umano e culturale?
Sarò retorico, ma sin da giovane sentivo fortissimo l’attaccamento alla libertà, quella vera, intrecciata con la dignità forgiata da un ordine naturale che pone tutti gli esseri umani al loro posto: non servi o padroni, né inferiori o superiori, ma ciascuno legato alla propria natura ed alla funzione specifica per la quale è nato, con la facoltà di attuare tutte le proprie possibilità e di raggiungere la propria particolare perfezione nell’ambito della comunità di appartenenza. Questa idea della natura propria, diversa in ogni persona e della libertà in funzione di tale natura, ci riporta ad altri tempi ed in particolare allo spirito del medioevo che è stata per me la migliore stagione nella storia dell’umanità.
Nel tempo attuale debbo dire francamente che non ne vedo molta, di libertà, tra gli uomini e le donne "moderne".
Culturalmente ho sentito sin da ragazzo l’attaccamento agli antenati, la ricerca delle origini di ogni popolazione, fonte di ricchezza interiore, di orgoglio e anche di fratellanza fra le pur diverse etnie, accomunate dall’amore per la propria stirpe. Se ho avuto delle simpatie per le istituzioni del Terzo Reich, ciò è dovuto all’istituto dell’Ahnenerbe che soddisfaceva questa mia esigenza ed al concetto del Blut un Boden di Walther Darré, che, oltre a questa esigenza, placava pure il mio amore per il mondo contadino.
Sono stato sempre a fianco delle etnie minacciate e vessate: con i Sudtirolesi, i Cimbri, i Valdostani, i Bretoni, i Corsi, i Siebenbürgen, i Tedeschi del Volga, i Tartari, i Curdi, gli Armeni, ecc.
Voglio qui raccontare qualcosa di abbastanza comico, poiché trovo salutare saper sorridere o ridere su certe situazioni nelle quali gli uomini ingenui possono incappare. Accadde negli anni ’60 fra i c.d. Cimbri degli Altipiani di Asiago, per la cui storia avevo una vera passione ; ero a Roana per l’inaugurazione del primo museo etnografico cimbro e ci trovai dei rappresentanti della Sinistra, intabarrati nel loro eskimo, con barbe e capigliature fluenti, i quali vedevano una cultura minacciata di estinzione, come gli indiani delle riserve, Wounded Knee e via dicendo ; assieme a loro dei vecchi del defunto III Reich, in abbigliamento sportivo-völkisch-militaresco: pangermanisti, cultori dell’Ahnenerbe, con nessuna simpatia per le Sinistre; cionondimeno, al pranzo sociale fraternizzavano calorosamente, inebriati da un buon vinello trentino: il Taroldego. La fatica di fare da interprete fu tale da farmi perdere l’appetito, per non incrinare i buonissimi rapporti che si erano stabiliti tra i giovani marxisti e questi vecchi arnesi del NS; naturalmente le mie traduzioni non erano fedeli, ma il gioco valeva la candela, poiché ambedue i gruppi lottavano per il medesimo obbiettivo: salvare la cultura degli ultimi Longobardi dall’omologazione voluta dal governo romano.
Da faceto, a quasi serio, aggiungerò di aver collaborato alla rivista "Orion" e di aver spedito articoli a vari giornali e riviste, per dare sfogo alla mia grafomania, cosa che continuo a fare anche ora, pur essendo un po’ più rincoglionito...
Tengo ad affermare infine che, anche se ho scritto di Celti e Longobardi, o delle rivolte contadine, di non essermi mai considerato "uno scrittore". E su questo torno ad essere serio.
AdT: Quali modelli ritiene più giusti, oggi, per i nostri giovani?
G.C.: Domanda difficile, problema giovanile, di difficilissima soluzione. Ritengo tuttavia essenziale riconoscere che l’umanità sia giunta al gradino più basso della sua decadenza, per cui si profilerà, speriamo presto, un nuovo inizio di ascesa; ecco: essere i primi nell’arrampicata verso la vetta, penso sia il traguardo migliore che dei giovani coscientemente differenziati possano proporsi.
Dei modelli da proporre? Non ci si può assolutamente ispirare a vecchi movimenti politici, perché ciò che è morto, non può essere resuscitato. Per questo vedo grottesco, anche se talvolta giustificabile, per reazione, imitare dei modelli presi dal Fascismo e dal Nazismo: se ne può studiare con passione la storia, facendo tesoro dei lati positivi delle due ideologie; ma riproporli in toto, con i loro riti e le loro uniformi, mi pare controproducente. Oggi vi sono forze nuove, eppure antiche che hanno bisogno dell’apporto di giovani idealisti, con le idee a posto, ma di questo potrò parlare più tardi.
Un modello cui attenersi potrebbe essere quello dei "Wandervögel", movimento apolitico, molto complesso, sorto nel boom industriale della Germania guglielmina. Nel recensire nuovamente la loro storia sull’AdT n°8, dicevo: "Oggi che da noi è morta la civiltà contadina, mentre il proletariato urbano, ormai imborghesito, è aggiogato al carro del consumismo, in nome del quale si sta distruggendo l’ambiente con una velocità frenetica e progressiva, ci sarebbe veramente bisogno di un movimento giovanile che combattesse la mentalità borghese col suo morboso attaccamento al benessere ed alle comodità, esaltando con convinzione e fermezza il ritorno alla terra e la difesa ad oltranza di quanto resta del verde, dei boschi e dei prodotti genuini prodotti dagli ultimi contadini.(...) Anche in campo religioso i Wandervögel volevano un ritorno alla religione dei padri, agganciata alla cosmogonia indoeuropea ed al rispetto della natura: il mito solare e la sacralità delle foreste, delle fonti e dei fiumi; oggi, vista la mancata autocritica del monoteismo giudeo-cristiano sul dominio assoluto dell’uomo sull’ambiente e sugli animali, sarebbe necessario un ritorno al Panteismo pagano per salvare quel poco che resta della bellezza del mondo; se ciò non si verificherà, vorrà dire che il genere umano è supinamente rassegnato alla propria autodistruzione."
AdT: Il suo testo "Noi, Celti e Longobardi", di prossima ristampa, rappresenta una vera e propria pietra miliare nel panorama della nostra Rinascita, si sarebbe mai aspettato un risultato come questo ? Come è stata generata l’opera? Cambierebbe qualcosa nella composizione del testo?
G.C.: "Noi, Celti e Longobardi" ha avuto successo solo nei casi in cui è capitato nelle mani di elementi recettivi ; anche se non sono moltissimi posso parlare di "successo" ; ma definirla "pietra miliare" mi sembra esagerato e se lo pensassi, peccherei certamente di immodestia. In verità l’ho sempre considerata una ricerca personale, fatta con metodi empirici e dilettanteschi.
Il suo successo semmai è consistito nel fatto di avere stimolato dei ricercatori veri che hanno osato quello che non era stato fatto prima: mettere in discussione la ricerca storica ufficiale, parlare di Celti preistorici, di celto-liguri, di celto-veneti; la soddisfazione mi viene dai frequenti articoli che appaiono sulle pagine culturali di quasi tutti i giornali, che parlano di argomenti fino a ieri tabù; se posso pensare che ciò è avvenuto "anche" per opera mia, allora certamente mi sento invadere da una piacevole sensazione gratificante.
Come è nata l’opera? Inizialmente pensavo di scrivere una storia etnica della mia piccola Heimat alpina, ma mi sono presto accorto di raccogliere i cocci di un vaso che si dimostrava sempre più grande, tanto da valicare i confini del Trentino, per spaziare nel resto dell’Italia; con gli stessi criteri visitai le regioni del Nord, del Centro e del Sud e dovunque, pur in percentuale diversa, ritrovavo le tracce della presenza umana che più mi stava a cuore. Così si è originata "l’opera": da appunti di viaggio, dall’aiuto di tanti sconosciuti collaboratori che avevano la mia stessa passione per il loro piccolo paese, per la sua storia e tradizione; è a loro, vecchi maestri in pensione, parroci ed autodidatti, che va il merito di avermi fornito la maggior parte delle notizie che fanno di "Noi, Celti e Longobardi", un libro diverso dagli altri, che non è di storia, di geografia, di etnologia, ma il racconto dei nostri avi ai quali è stata data una voce, negata finora dalla cultura ufficiale. Non cambierei un rigo del testo, salvo correggere gli errori che ci sono, cosa che mi aspetto faccia la nuova ristampa; ci avrei semmai degli appunti dei miei ultimi viaggi e lo volevo fare, ma ne sono stato impedito dalla "tirchieria" degli editori i quali non possono ignorare i conti finanziari: sarà già molto se faranno uscire presto la ristampa.
AdT: Non le appare un po’ tardiva la riscoperta della nostra cultura, si sa che in Germania esistono gruppi sin dagli albori del secolo e pure la Rinascita Celtica ha radici profonde, lei che - a ragione- è ritenuto il padre della nostra Rinascita a cosa crede sia dovuto questo nostro lungo sonno?
G.C.: La riscoperta della nostra cultura più antica non poteva avvenire nel clima arroventato del nazionalismo giacobino risorgimentale, né con la Destra Storica al potere dal 1861 e tantomeno durante il ventennio fascista, tempi di esagitato sciovinismo e del tentativo non riuscito di "fare gli italiani", dopo l’unificazione della penisola. Ancor oggi sembra un miracolo che si sia potuto rialzare la testa, tenuto conto del fatto che il nazionalismo è passato indenne dal Fascismo a tutti i partiti sedicenti antifascisti i quali detengono ancora saldamente il potere culturale; ultimamente si è visto riesumare il tricolore in tale dimensione da ricoprire le nefandezze del regime corrotto che è passato dalla I alla II repubblica con una tiepida abluzione delle mani, mentre il resto puzza ancora orrendamente... Una bollitura completa a 200° sarebbe l’ideale...
Non vanno poi dimenticati i pochi coraggiosi che hanno osato tener desta la nostra cultura originaria in periodi rischiosi: da Francesco Manfredini che riconobbe l’influsso del sangue germanico nella genesi della Rinascenza, al piemontese Costantino Nigra che sostenne l’importanza del sostrato celtico, nell’evoluzione del pensiero e della poesia delle popolazioni padane, un patrimonio etnico ancestrale, al veneto Dino Buzzati, molto conosciuto ed amato fuori d’Italia, a Gianni Brera, discendente dei Longobardi, che sentiva quel sangue pulsargli nelle vene, al friulano Carlo Sgorlon che evocava il passato celtico del suo popolo; pochi sanno ch è esistita fino a pochi anni fa una vecchia e gloriosa casa editrice milanese che si era data il nome di "Insubria" che lascia dedurre la conoscenza, molto tempo prima che lo scrivessi io, che i primi milanesi furono i Celti Insubri.
Non è poi tanto vero che altrove si sia stati più precoci: in Francia o Gallia Transalpina anche il passato celtico viene trascurato, forse per la paura dell’irredentismo bretone; così come la discendenza dai Franchi che potrebbe riaprire il problema dell’ Alsazia e Lorena.
I Tedeschi hanno concentrato il loro interesse sul Germanesimo per tutto il XIX secolo e la prima metà del XX ; ma dal ’45, ad un tratto si è spento; la riscoperta del celtismo da parte della cultura di Sinistra è stata appoggiata solo in opposizione ai valori del Germanesimo; è auspicabile un approccio più maturo e consapevole ai due fenomeni che sono coesistiti e che costituiscono due tappe fondamentali per la cultura tedesca.
Quanto ad esser "il padre della nostra rinascita", ciò mi pare una forzatura; se davvero fossi l’ispiratore del Sole Celtico che campeggia sulla bandiera della Padania, allora sì che potrei contrarre la mania di grandezza; ma penso sinceramente che non sia proprio il caso, essendoci diversi studiosi che contemporaneamente ed alcuni anche prima di me, hanno riconosciuto e riattualizzato l’ethnos celtico; se ho avuto degli estimatori che sono stati stimolati ad interessarsi seriamente del fenomeno celto-germanico in Italia, è cosa che mi gratifica pienamente.
AdT: Sarebbe stata possibile una riscoperta del nostro Sangue e della nostra Terra 10 o 20 anni fa? Vi erano delle organizzazioni o dei circoli culturali che operavano in questo senso, che fine hanno fatto?
G.C.: Una riscoperta del nostro sangue e della nostra terra non era possibile 10 o 20 anni fa, dal momento che tutti i movimenti politici erano ferreamente nazionalisti e centralisti; è stata la nascita della Liga veneta prima e della Lega Nord dopo, a propiziare la pur timida rinascita del mondo degli Avi, sin qui quasi dimenticato o più semplicemente ignorato.
In passato, sia pur malamente tollerate dal potere romano, operavano solo le associazioni delle minoranze etniche più o meno riconosciute: quella valdostana che ha difeso la lingua franco-provenzale e che ha avuto dei capi storici prestigiosi, quale l’abate Giuseppe Treves ed Emilio Chanux che fu, con ogni probabilità assassinato in carcere dai fascisti nel 1944; quella religiosa dei Valdesi, che parlavano pure il provenzale e che abitano nelle vallate del Pellice, dell’Angrogna, del Chisone e della Germnasca; quella cimbrica dei Sette Comuni Vicentini e dei 13 Veronesi; quella degli Sloveni delle Valli del Natisone, di Gorizia e di Trieste. Un discorso a parte per il SudTirolo: il partito di raccolta della popolazione di lingua tedesca, la "Südtiroler Volkspartei", ha avuto vita facile perché si trattava della traduzione tedesca della D.C.; ultimamente, con la sudditanza verso l’ulivo e la Sinistra, questo raggruppamento incomincia ad avvertire la concorrenza della Destra sudtirolese, espressa dalla "Heimat Bund" della Klotz e di Benedikter e del "Freiheitlichte Partei Sudtirols", il cui futuro successo è legato alla tenuta ed alla crescita della L.N. nella Padania ed all’alleanza tra queste tre formazioni.
AdT: Come giudica i recenti fatti di cronaca gonfiati dai soliti giornali di regime: già tempo fa l’AdT si occupò del "mostro di Merano" che, a tutti gli effetti, era solo un uomo con disturbi psichici senza alcun "odio anti-italiano", come dimostra, purtroppo, la lista delle sue vittime italiane e tedesche.... Ecco, a questo proposito, ci può chiarire la situazione relativa all’omicidio di Christian Waldner, sul quale i giornalisti hanno contribuito a confonderci le idee?
G.C.: Le vicende del Sudtirolo stanno subendo un brusco cambiamento di rotta: l’assassinio di Christian Waldner sembra aver restituito il bastone di comando alla Democrazia Cristiana Tedesca (laS.V.P.) che vede spiazzati i suoi nemici: i Freiheitlichten, l’Union für SüdTirol della klotz e la Lega Nord che mirava alla costituzione di un patto trasversale interetnico, di cui C.W. fungeva da catalizzatore. Anche i difensori della tradizione tirolese, gli Schützen, hanno subito un grave smacco ed i post-fascisti di AN ne chiedono ora lo scioglimento.
Il buffo è che i suddetti (con esclusione della L.N.) si sarebbero tagliate le palle da soli, senza l’apporto del "nemico"... !
Troppo semplice.
Già qualche settimana prima dell’omicidio era incominciata una vera caccia alle streghe ai danni del Partito Autonomista Trentino-Tirolese, reo del medesimo delitto imputato a Christian Waldner: l’appoggio al progetto dell’Euroregione del Tirolo da Kufstein ad Ala ha scatenato l’ira di Scalfaro che aveva proferito parole minacciose contro gli autonomisti tridentini dopo il grande raduno a Borghetto (TN) del 29 ottobre ’95, per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’ASAR.
A niente è servito che il PATT, servitorello ossequiente della S.V.P., fosse partito di governo nella compagine dell’Ulivo; ora i suoi adepti subiscono perquisizioni, fermi e condanne, come denunciava, accorato, un suo rappresentante al congresso della L.N. al Palavobis di Milano; un trentino gli ha gridato: "Così imparate ad obbedire alla Volkspartei!".
A Christian Waldner è capitato di peggio : il giorno prima che partisse per Milano, dove il suo intervento al congresso della L.N. era molto atteso, uno psicolabile, molto abilmente manovrato, ha messo fine al sogno di una grande alleanza che, passando per il Trentino-SudTirolo, arrivasse in Austria ed in Europa: la Lega di Bossi ed il partito di Haider, prima tappa per la costituzione di un partito sovranazionale dei popoli europei.
E’ sperabile che ciò possa realizzarsi lo stesso, ma bisogna che i leghisti si preparino meglio, invece di bisticciare fra Trentinio e Veneti, come è avvenuto alle esequie dell’ultimo martire sudtirolese.
AdT: Crede che, nel recente passato, vi siano state delle occasioni sprecate da parte di forze e movimenti culturali che "promettevano bene"?
G.C.: Credo ce l’unica occasione mancata sia stata quella di una Destra Radicale animata da Nazionalismo pan-europeo che trascendesse quello provinciale italico, per intenderci una formazione più etnica che nazionalistica: una vera minoranza etnico-politica più che un partito, la quale poteva sviluppare un nuovo percorso ideale, pur fra mille difficoltà, finché era vivo Adriano Romualdi, l’unica personalità in grado di amalgamare la composta umanità che incominciava a dibattere questioni prima ignorate . Con la sua morte e con quella di Julius Evola, quelli che avrebbero potuto aiutare questo rinnovamento, non sono stati in grado di continuare l’opera.
AdT: Secondo lei, esiste un conflitto tra "nazionalismo" ed "etnicità": esiste un nazionalismo cieco profondamente nemico del sangue e vi sono interpretazioni sbagliate della nostra Storia, anche di quella più recente?
G.C.: Domanda difficile la quale rimanda a ciò che ho espresso poco fa; certamente esiste un conflitto inconciliabile tra il nazionalismo italiano e l’etnicità quale noi la intendiamo.
Persino l’etnonazionalismo ed il micronazionalismo possono assumere caratteri isterici, dai quali bisogna guardarsi, badando che il loro alveo culturale non sia troppo carente. Se ne avvertono già i primi sintomi.
Quanto alle interpretazioni errate della nostra Storia, soprattutto di quella più recente, non resta che consultare i testi adottati dalle scuole elementari all’università, per rendersene conto; non ne ho mai visto uno che non mi abbia fatto incazzare di brutto, per le storture che vi ho letto.
AdT: Guardando al passato ci accorgiamo delle diverse interpretazioni alle quali la Storia è sottoposta, secondo lei, la tanto auspicata Europa delle Patrie sarebbe stata possibile in alcuni momenti della nostra storia? Lei avrebbe optato per l’appoggio alla Lega Lombarda o si sarebbe battuto per l’Imperatore Federico I Barbarossa?
G.C.: Qui la domanda esigerebbe la scrittura di un libro per il quale non ho più il tempo e la capacità.
L’Europa delle Patrie c’è già stata: "Il sacro Romano Impero della Nazione Germanica", dove, garantite erano le autonomie delle minoranze etniche e linguistiche: una vera Europa federale, fino alla vittoria del Vaticano che ha distrutto quell’ordine che oggi una banda di squallidi mercanti cerca di contrabbandare al solo fine di sfruttare meglio i popoli annichiliti dagli idoli moderni, distruttori della loro cultura ed identità.
E’ naturale che io, pur convinto leghista, avrei combattuto sotto le insegne di Federico Barbarossa, come fecero i miei Avi del Gau Pergine-Caldonazzo; credo che se si potesse spiegare bene la vicenda, sarei seguito da tutti gli amici del Carroccio.
AdT: Quali sono i suoi interessi, al di fuori della ricerca e degli studi?
G.C.: I miei interessi, al di fuori della ricerca e degli studi che non ho peraltro, del tutto abbandonati, sono il deciso impegno ecologista e se potessi, anche violento, giacché violenza è lo stupro che si fa della natura; la difesa degli animali che da troppo tempo debbano subire il sadismo dei tanti c.d. "esseri umani", cristiani spesso in crisi di astinenza dai "bei" tempi dell’Inquisizione. Anche l’impegno politico per la libertà dalla piovra mafiosa romana mi interessa e mi aiuta a passare il tempo.
AdT: Ha avuto dei maestri, vi sono delle persone dalle quali ritiene di aver imparato molto?
G.C.: Maestri ne ho avuti molti, anche se li ho conosciuti solo dalle loro opere : Arthur de Gobineau, Houston Stewart Chamberlain, Ludwig Woltmann, David H.Lawrence, contestatore del giudeo-cristianesimo e gioioso assertore di un neo-paganesimo, Friedrich Nietzsche, Alfred Rosenberg, Hans F.K. Günther, Julius Evola ed Adriano Romualdi. Quanto alle persone che mi hanno insegnato molto, credo di averne già parlato quando spiegavo la genesi di "Noi, Celti e Longobardi"; penso inoltre che il contatto con qualsiasi uomo che abbia una propria visione del mondo, arricchisca sempre.
AdT: Quali erano, da ragazzo, i suoi modelli?
G.C.: Da bambino sfogliavo le vecchie enciclopedie tedesche di mio padre, dalle cui illustrazioni ho avuto il primo approccio col mondo "barbarico" dei germani, che mi ha affascinato nel corso dell’intera esistenza.
Da ragazzo mi sono immedesimato nella lotta dei pellerossa e mi rammaricavo di no essere nato presso qualche tribù sioux o cheyenne nei tempi eroici.
AdT: Ritorniamo al SudTitolo, ha incontrato molte resistenze tra suoi amici e collaboratori che - magari sotto-sotto - si sono sentiti feriti in un inaspettato "orgoglio patrio"? A che punto è la situazione di questa spinosa questione, intravede degli spiragli?
G.C.: I sudtirolesi li ho conosciuti nel 1936, quando mio padre mi ha portato da una famiglia di Marlengo, presso la quale era stato ospite per alcuni anni, per espletare gli studi nella città di Merano ; ricordo i singhiozzi delle donne ed il muto dolore degli uomini per dovere abbandonare la loro amata terra, dopo l’opzione, al fine di non rinnegare la loro Nazione.
Non ho mai capito perché era considerato giusto che i Tirolesi dovessero diventare italiani, dopo la guerra vinta, mentre era ingiusto che gli istriano - dalmati diventassero slavi, dopo una persa e senza alcuna consultazione popolare in ambedue i casi. I vincitori del 1918 e quelli del 1945 hanno trasformato l’Europa in una indecorosa bagascia, quale è oggi, negando l’autodeterminazione dei popoli che, a parole, sarebbe stato l’obbiettivo della loro crociata contro gli Imperi Centrali e contro il Nazismo; oggi, lo si vede chiaramente, il vero fine era la distruzione dell’Europa. Sull’argomento ho incontrato molte resistenze e sono convinto di incontrarne anche nel futuro.
L’unica soluzione possibile è quella che si superino gli asti dei confini, abolendoli con la costituzione di stati cuscinetto: "Puffenstaaten", dove vengano mitigate le restrizioni doganali e poliziesche delle nazioni confinanti che pur vi mantengono una formale sovranità, al fine di ammortizzare gli urti inevitabili fra nazionalità diverse e "storicamente nemiche": l’Euroregione del Tirolo e quella giuliano-istriano-dalmata darebbero la soluzione ai problemi sul nostro confine settentrionale ed orientale; ma naturalmente non basta la disponibilità di una sola parte.
AdT: Se tornasse indietro, ripercorrerebbe tutti i passi, cambierebbe qualcosa del suo itinerario umano?
G.C.: Ripercorrerei lo stesso tragitto, cercando di evitare gli errori che mi ricordo di aver commesso.
AdT :Secondo lei, come possono incidere l’AdT e le iniziative della CO nella vita di tutti i giorni e nella nostra malandata società? Vi sono delle priorità da seguire?
G.C.: L’AdT e la CO debbono continuare nel cammino già intrapreso; le priorità che io vedo sono la riscoperta e la riattualizzazione della storia negata, la lotta contro l’incultura moderna, contro il materialismo, l’edonismo, il porno-sesso; la lotta contro il meticciamento razziale, lotta che è la sola difesa che possiamo opporre al potere planetario del nemico dell’uomo che mira alla estinzione della stirpe indoeuropea. Da tenere presente che ci è molto vicino.
AdT: Ha un messaggio per i giovani della CO, per i nostri lettori e per quei ragazzi che vedono in lei un pioniere dei nostri ideali?
G.C.: Il messaggio per i giovani è espresso in parte allorché ho risposto in merito agli "ideali" da proporre loro. In aggiunta dirò, pur non sentendomi un "pioniere dei loro ideali" da ascoltare acriticamente, che il riaccostarsi alla cosmogonia indoeuropea è un cammino non facile, da affrontarsi senza improvvisazioni, gradino dopo gradino; riaccostarsi alle cose semplici e se queste ci daranno piacere, sapremo di percorrere la strada giusta: gioire dell’amore di una donna, senza insudiciarlo, della bellezza della natura in una chiara giornata di sole, della magia del fuoco, durante una festa conviviale, dell’affetto di un animale, del riposo e di un bicchiere di vino, dopo un’ascensione, del profumo del bosco, dell’acqua limpida di una fonte incontaminata.
AdT: Grazie Dr.Cìola per la sua disponibilità.
G.C.: Sono io a ringraziare Voi.
La cosa più gratificante per un vecchio è quella di farlo chiacchierare, soprattutto di sé ; non c’è solo Sgarbi: siamo tutti, chi più chi meno, dei gigioni.
Mi scuso perciò se ho parlato troppo e se vi ho annoiato.
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